Pubblichiamo di seguito il testo dell’intervista che il Direttore Generale della Confetra Ivano Russo ha rilasciato a “The Medi Telegraph
Confetra ha appena celebrato i suoi 75 anni. Che bilancio avete fatto? “E’ stato – spiega Ivano Russo, direttore generale della Confederazione – un momento toccante, 75 anni sono tanti, gli stessi della Repubblica italiana. La Confederazione, come ricostruisce un libro che abbiamo presentato, ha dato il suo contributo a ricostruzione post-bellica, liberalizzazione, nascita del cargo aereo, arrivo dei primi container, legge sulla portualità, legge sugli interporti. La storia di Confetra è un patrimonio dell’Italia, anche in questo momento in cui, in seguito al più forte choc economico del dopoguerra, il Paese ha bisogno di un ripensamento, come lo aveva 75 anni fa”.
Si può fare un parallelo fra allora e oggi?
“Allora ci furono la nascita dell’Eni per una politica energetica autonoma, la politica di amicizia coi Paesi del Mediterraneo che ribaltò la mentalità coloniale creando una rete di Paesi amici. Il parallelismo si trova nella necessità di reinventarsi i fondamentali. Allora l’Italia fece scelte profonde di politica industriale, anche adesso si va verso scelte profonde”.
Si riferisce al Pnrr?
“Non bisogna fare un utilizzo pigro del Pnrr, a esempio pensando di tornare alla situazione del 2019, quando invece eravamo già in crisi. L’obiettivo non può essere tornare alla stagnazione di due anni fa. E’ molto positivo che 62 miliardi su 322, fra Pnrr e fondo complementare, ossia il 25 per cento, sia destinato per la prima volta al settore di trasporti e logistica. E’ un bene che per la prima volta si ponga il tema di una politica industriale per il settore della logistica. Finora si era ragionato soltanto in termini di infrastrutture e incentivi. Nel Pnrr c’è qualcosa di diverso”.
Che cosa?
“Un tavolo software, un confronto col ministro che produce molto profitto. Un esempio è Uirnet, si pone fine a una storia poco felice che non aveva dato i risultati sperati. La partita della digitalizzazione del trasporto intermodale torna nelle mani del ministero. E poi finalmente dopo sette anni si dà attuazione al regolamento sul Sudoco, lo sportello unico doganale. E ancora è importante la riforma del codice civile delle spedizioni. Sono alcuni esempi del tavolo software che sta cominciando a funzionare”.
Come vede il futuro della digitalizzazione in mano a Ram?
“Quello che serve non è vendere servizi, ma attrezzare un hub che dia competitività al sistema. Che è già digitalizzato, dai porti agli interporti, c’è già l’infrastruttura: va messo tutto a dialogo”.
E’ vero che potrebbe essere lei a guidare Ram?
“Non ho mai ricevuto telefonate in questo senso e oggi alla guida c’è Zeno D’Agostino che sta lavorando bene”.
Il Pnrr riguarda anche alcune grandi opere come la diga di Genova, che cosa ne pensa?
“Le grosse infrastrutture da sole non spostano le statistiche del paese: hanno senso se sono inserite dentro una visione industriale. Se questa matura, poi si può ragionare delle singole opere. Pensare che il nostro Paese diventi un grande hub di transito, un nastro trasportatore per gli altri paesi è sconsigliabile, genera diseconomie”.
Un altro tema importante per i porti italiani è il comma 7 dell’articolo 18 della legge 84, che è stato modificato dal decreto Concorrenza. E’ d’accordo?
“A livello di singolo porto la norma tarpava le ali agli operatori. Ma la riforma così è monca, dovrebbe comprendere limiti a livello nazionale. Non è possibile che un singolo soggetto abbia il controllo di tanti porti. Per noi il demanio è strategico perché siamo un paese che importa materie prime. Il ragionamento sui monopoli va fatto a livello di sistema Paese e vale tanto per i terminalisti puri come per le compagnie marittime che gestiscono terminal. Va fatto crescere un tessuto industriale nei prossimi cinque anni a servizio del Paese, se no saremo una commodity territoriale che serve a produttori asiatici, vettori internazionali e ricevitori europei”.