si è accorta che è stato fatto un favore ai cinesi (azzerando il gap competitivo), poi il primo ministro inglese, Rishi Sunak, ha frenato (ma questo non vuol dire un’inversione di rotta) sul bando alle termiche, spostando la data al 2035 e non più al 2030 (forse troppo vicina), allineandosi, alla fine dei conti, con quella totemica data Ue del 2035 che segnerà la fine dei motori termici.
Una data scolpita su pietra fino a qualche settimana fa (anche se qualche prodromico segnale si era gia visto prima). Beninteso, è decisamente improbabile (salvo ribaltoni alle Europee del 2024) che la data del 2035 venga cancellata, ma ora – forse – è arrivato il momento della riflessione sulle scelte fatte, sui tempi e sulle esigenze di un comparto industriale strategico che ha investito, perché obbligato, cifre vicine ai 700 miliardi per un mercato la cui domanda è sostanzialmente non allineata all’offerta di un’industria che vive in un mondo diverso da quello della politica. Va detto che se in Europa le elettriche sono a quota 15% in Italia e in altri paesi lo share è ben inferiore circa il 5%). Le motivazioni sono tante e nella questione rientrano questioni economiche, culturali e geografiche. In ballo c’è anche l’enorme confusione tra emissioni climalteranti (quelle che contribuiscono al riscaldamento globale) e emissioni di NOx e polveri che impattano sulla qualità dell’aria che sono al centro della complessa questione Euro 7, con normative che sembrano scritte dal partito ombra anti-auto europeo (e osteggiate dai costruttori perché antieconomiche e dannose). E così mentre nel board della case si guardano dati di vendita con preoccupazione perché è sempre più palese che “elettrico uguale Tesla”, che le bev europee al momento non conquistano i cuori dei clienti, che c’è tanto lavoro da fare (software e reti) mentre i cinesi avanzano (e molte Tesla sono made in China). «Il dietro-front di Sunak, che ha spostato in avanti (per ora) il divieto alla vendita di auto termiche dal 2030 al 2035 – dice Pier Luigi del Viscovo Fondatore e Direttore del Centro Studi Fleet&Mobility – scuote l’industria automobilistica europea, perché materializza ciò che è nell’aria da tempo anche in Continente. Ossia che non ci sarà alcuno stop per la semplice constatazione che i clienti non lo vogliono. Del resto anche Luca de Meo, numero uno di Renault e presidente Acea, l’associazione dei costruttori, ha già avvisato che «indietro non si torna». E ha perfettamente ragione – dice del Viscovo: «La storia e l’economia non tornano mai indietro. Nessuno ha scherzato, nel senso che queste cose si fanno sul serio. Nel bene e nel male. Quanto le case hanno fatto finora esiste, come investimenti, e graverà sui bilanci».Basti pensare alle nuove piattaforme per le EV, ai tanti modelli elettrici europei lanciati e corso di introduzione, alle gigafactory in costruzione e alle infrastrutture di ricarica che si stanno realizzando. Molti gruppi, anche inglesi come JLR, hanno già deciso un passaggio all’elettrico in date che vanno dal 2025 al 2030, tutti i principali nuovi lanci riguardano modelli a batterie e non si può fermare un aereo al decollo, quando ha raggiunto la velocità “V2 Rotate”, quella del non ritorno. E, poi, l’automotive lavora per cicli lunghi. «L’industria dell’auto – afferma Pier Luigi del Viscovo – non è un agile motoscafo ma un Titanic. Il problema è che questa nave si è lasciata guidare dalla politica, che non ha mai portato una nave e mai dovrebbe, su una rotta che va incontro all’iceberg chiamato mercato, quei clienti che per tante ragioni non vogliono girare a pile. Tornare indietro non si può, ma nemmeno andare a sbattere sull’iceberg. Per non colare a picco la rotta dovrà cambiare, e pazienza se qualche fiancata struscerà sul fianco della montagna di ghiaccio». È stata messa in moto una macchina enorme tesa al cambiamento: in gioco c’è la prima industria del continente europeo e il suo futuro fatto di software e innovazione, in una sfida tecnologica con Tesla e i cinesi che le nuove tecnologie della mobilità le padroneggiano molto bene. Non ha a caso i vertici dei potenti sindacati del gruppo le padroneggiano molto bene. Non ha a caso i vertici dei potenti sindacati del gruppo Volkswagen temono che stia arrivando una tempesta perfetta distruttiva , mentre molti osservatori ricordano la brutta fine di Nokia quando Apple con l’iPhone e Google con Android rivoluzionarono il mondo dei cellulari, che però è poca cosa rispetto al ruolo economico e sociale dell’industria automotive. «Strillare invocando la coerenza della politica – afferma Pier Luigi del Viscovo – appare francamente puerile, anche perché sappiamo bene che non è il divieto nel 2035 a togliere il sonno bensì le multe, che dal 2020 falcidiano i bilanci per non vendere quelle auto che il mercato non vuole. I concessionari temono che dovranno targarle lo stesso a fine anno, come km0. Se grida devono essere, che siano per rimuovere questa spada di Damocle, che sta contribuendo a tenere basse le vendite per corrispondere a un mix irrealistico».
Sole24ore